(Adnkronos) – “L’imprevisto il più delle volte genera imprevedibilità. E dunque suona piuttosto improprio, e perfino un po’ discutibile, il gioco delle letture e delle interpretazioni in cui fin dal primo attimo si è voluto racchiudere il nuovo pontefice Leone XIV. Come a voler essere sicuri di una lettura così certa di lui e del futuro della Chiesa da non poter trovare lungo la strada altro se non le sue stesse conferme. Il fatto è che quel fitto reticolo delle previsioni e delle interpretazioni che ha accompagnato il pre-Conclave, facendone per alcuni quasi un gioco di società, ha subito indotto gli osservatori disseminati qua e là a dirsi sicuri, inequivocabilmente sicuri, delle conseguenze dell’elezione di Leone XIV. Così ci si è soffermati sul nome, evocativo di quel Leone XIII che scrisse la Rerum Novarum, dando inizio alla tradizione di un cattolicesimo finalmente attento alla ‘questione sociale’.
Ci si è interrogati sulle conseguenze della sua identità di monaco agostiniano. Si è cercato di scandagliare nei mille retroscena per cercare di leggere in controluce il nome e il peso dei suoi grandi elettori. E ci si è confrontati sul grado di continuità che lo lega al suo predecessore, Francesco. Senza contare la lettura dei segni esteriori, che nelle liturgie del Vaticano non sono mai sovrastrutturali, ma implicano sempre qualcosa di più profondo. Tutti interrogativi che meritano attenzione e che solo il tempo ci aiuterà a sciogliere. Ai quali inevitabilmente si aggiungerà il ricordo personale lasciato da quella sua prima, imprevista apparizione al balcone.
Dalla sua decisione di affidare le primissime parole a un testo scritto fino alla sua sofferta capacità di dominare in quei minuti il proprio stato d’animo, in una inedita combinazione di estrema sobrietà e altrettanto estrema commozione. Senza che nulla suonasse recitativo e nulla suonasse improvvisato. Uno stile che lascia presagire una certa idea, niente affatto ovvia, del pontificato che si profila.
Ma è inevitabile che tutte queste premonizioni, per giuste che si possano rivelare, non devono offuscare la vera questione che sta davanti alla Chiesa dei nostri giorni. E cioè il suo ruolo, diciamo così, geopolitico. Non perché il Papato si debba schierare di qua o di là nelle grandi contese che attraversano il pianeta. Ma perché, come dimostra tutta la storia del Novecento, ogni parola, ogni gesto, ogni richiamo, perfino ogni sillaba che provenga da quella cattedra si riverbera inevitabilmente sugli equilibri planetari. Cosa che divenne di palmare chiarezza all’epoca di Giovanni Paolo II e della caduta del muro di Berlino -e non solo.
Così oggi diventa quasi fatale che si intrecci il nuovo pontificato con i destini delle grandi controversie che ci stanno attraversando. E tanto più che ci si interroghi e si almanacchi (forse anche con troppa fantasia) sui legami che corrono tra il Papa americano e il suo paese di nascita. Ora, sarebbe del tutto improprio iscrivere Leone XIV nelle categorie trumpiane e antitrumpiane nelle quali si divide oggi quella parte di Occidente che sta oltre l’Atlantico. E dunque forse sarebbe il caso di fare un minimo di tara sia all’enfasi con cui il presidente americano si è gloriato della loro “concittadinanza” sia forse anche all’enfasi con la quale vengono citate le frasi con cui l’allora cardinale ha avuto modo di rispondere al vicepresidente Vance dandogli sulla voce a proposito del trattamento dei migranti.
Lasciamo tempo al dipanarsi di questa matassa, che è assai complicata e che magari non dovrebbe essere tirata di qua o di là con troppi eccessi di tifoseria. C’è un punto però che è decisivo e tutt’altro che neutro. E cioè il fatto che il Papa “americano” oggettivamente si trova a questo punto a sottrarre al presidente americano il monopolio geopolitico di quel paese sulla scena internazionale. Da oggi infatti gli americani che fanno la differenza nel mondo sono due e non più uno. S’è rotta, o almeno incrinata, un’egemonia e dissolta una rendita. Naturalmente papa Leone non prenderà mai posizione sulla scacchiera politica americana. Ma trovandosi a giocare, da ‘americano’, sullo scacchiere politico globale, renderà assai più difficile a Trump proporsi come l’unico interprete di quella realtà. Non sarà una novità da poco. E’ un monopolio che si spezza, è un mondo che si spalanca”. (di Marco Follini)