(Adnkronos) – “Mostrandosi come modello vincente, in Italia la prima mafia che ha utilizzato i social per avvicinare, accalappiare i giovani utili idioti portatori di acqua al pozzo del capomafia, è stata la Camorra, poi anche parte dell”ndrangheta di Gioia Tauro”. Così il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nicola Gratteri, in occasione della seconda edizione di Capri D’Autore. “Quando è nato – spiega Gratteri -, i primi a utilizzare Facebook sono state le mafie messicane con il cartello del Golfo e quello di Sinaloa: postavano video in cui si mostravano ricchi e potenti, con macchine di lusso. Poi i giovani, che rappresentano la fascia sociale che ha meno soldi ma consuma di più, sono passati da Facebook a TikTok, di conseguenza anche le mafie si spostate su questa piattaforma”. 

Gratteri ricorda di aver approfondito e scritto sul tema dei social, il rapporto con i giovani e con le mafie, tanto che “TikTok di Dublino ci ha chiesto un incontro, poi avvenuto a Roma insieme al professor Antonio Nicaso. Abbiamo spiegato loro il linguaggio, le parole chiave dei video che inneggiavano alle mafie e al consumo di droga. TikTok in poco tempo ha costruito un software che, grazie alle nostre indicazioni, ha potuto cancellare in pochi giorni 36mila audio e video sul social”. 

 

“Noi magistrati oggi siamo ai minimi storici di credibilità, perché abbiamo fatto degli errori”. Così il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli Nicola Gratteri, intervistato da Gianluigi Nuzzi nel corso della seconda edizione di Capri D’Autore, la rassegna culturale curata da Valentina Fontana e Gianluigi Nuzzi, e organizzata da Vis Factor, società leader a livello nazionale nel posizionamento strategico. 

“Io avevo detto che il presidente della Repubblica avrebbe dovuto convincere i componenti del Consiglio superiore della magistratura a dimettersi, perché sul caso Palamara bisognava lanciare il messaggio alla gente che si stava voltando pagina, che si faceva un taglio netto. Non è stato fatto, con il risultato che è passato il messaggio che si voleva tutelare una corporazione che non voleva lasciare la poltrona. E questo ci ha resi più deboli, anche perché le correnti all’interno della Magistratura sono ancora tante”.  

 

“Il sovraffollamento nelle carceri riguarda tutti i paesi europei, cambiano solo le percentuali” dice Gratteri. “Purtroppo, oggi in Italia il problema si è ulteriormente acuito non tanto per i numeri, ma anche perché mancano migliaia di uomini e donne della polizia penitenziaria. E quindi le carceri sono contenitori, non si fa trattamento. Anziché parlare di amnistia e indulto – e immagino che questo governo non lo farà – si potrebbe, per esempio, lavorare sui detenuti tossicodipendenti cercando di portarli nelle comunità terapeutiche e curarli”. Non è solo una questione di “ridare vita” a questi giovani curandoli, spiega Gratteri ma “un detenuto in carcere – aggiunge – costa mediamente 180 euro, in una comunità terapeutica 60 euro: anziché uno in carcere, si potrebbero tenere tre agli arresti domiciliari. In parte così si risolverebbe anche il problema del sovraffollamento”.  

Per quanto riguarda il problema della salute mentale e la costruzione di Rems: “Andrebbero ristrutturate – sottolinea Gratteri – le ville con parco sequestrate ai capimafia, renderle più sicure con recinzioni e assumere psichiatri e infermieri portando poi in queste strutture protette i malati di mente”. 

 

“Sono contrario alla depenalizzazione delle droghe e alla legalizzazione delle cosiddette droghe leggere” dice il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. “Dico ‘cosiddette’ perché non esistono dal punto di vista scientifico: il Thc della marijuana è superiore al 65%. La dipendenza è anche psicologica e invito gli insegnanti e i dirigenti scolastici a portare i ragazzi nelle comunità terapeutiche per fargli raccontare dai tossicodipendenti come hanno iniziato, perché sono lì e ridotti in quel modo. Poi all’uscita riparliamo di legalizzazione delle droghe”.  

 

“Sono contro il divieto di pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare da parte della stampa perché vi è un maggior rischio di cadere in errore attraverso interpretazioni non esatte” dice Gratteri. “Era molto più comodo riportare pezzi dell’ordinanza di custodia cautelare e poi a margine, eventualmente, fare dei commenti”.