(Adnkronos) –
Ecocidio è il reato punibile fino a 10 anni di reclusione. L’ha stabilito la nuova direttiva, concordata con il Consiglio il 16 novembre 2023 e approvata nelle scorse settimane con 499 voti favorevoli, 100 contrari e 23 astensioni. Tra i nuovi reati figurano il commercio illegale di legname, l’esaurimento delle risorse idriche, le gravi violazioni della legislazione dell’UE in materia di sostanze chimiche, e l’inquinamento provocato dalle navi.  

Una specifica, voluta dai deputati, ha inserito nel testo i “reati qualificati”. Sono quei reati che portano alla distruzione di un ecosistema, paragonabili a incendi boschivi su vasta scala e inquinamento diffuso di acqua, aria e suolo.  

Ma cos’è un ecocidio? Scopriamolo insieme. 

Il termine “ecocidio” non è una scoperta recente, ma il suo uso nel linguaggio comune fa le prime apparizioni negli anni Settanta, quando comparve per la prima volta nella Conferenza sulla guerra e la responsabilità nazionale a Washington. Venne coniato nel 1970 dal biologo statunitense Arthur Galston per descrivere i danni causati dal cosiddetto “agente arancio”, un defoliante che l’esercito Usa sparse in enormi quantità sulle foreste tropicali durante la guerra del Vietnam. Nel ‘73 Richard Falk, docente di Diritto internazionale fornì la prima analisi legale di questo termine: la distruzione consapevolmente perpetrata di un ambiente naturale.  

Da quel momento in poi molti accademici e studiosi di diritto hanno sostenuto la criminalizzazione dell’ecocidio: cioè, far sì che venisse riconosciuto come un crimine internazionale a livello giuridico. Distruggere la vita di un ecosistema ambientale equivale a danneggiare anche la salute di persone coinvolte e/o che vivevano in quel sistema danneggiato.  

“Farebbe la differenza tra un piante abitabile e uno non abitabile”, aveva affermato il giornalista George Monbiot al The Guardian in merito all’instaurazione dell’ecocidio come crimine internazionale. E non sono mancate le critiche in merito alla sua stessa esistenza, considerata da una parte anche della stampa italiana come l“ultima follia europea”.  

Divenendo un tema divisivo per l’opinione pubblica, il reato di ‘ecocidio’ si è fatto strada, sino a raggiungere le stanze dei decisori politici europei e appropriandosi di un posto tra i reati punibili fino a 10 anni. 

Chi commetterà reati ambientali, fa sapere il Parlamento europeo, sarà punibile con la reclusione, a seconda della durata, della gravità e della reversibilità del danno. Che si tratti di persone fisiche e rappresentanti d’impresa, i reati qualificati saranno punibili con un massimo di otto anni. Per chi causerà la morte di una persona si rischierà fino a 10 anni e per tutti gli altri reati cinque anni.  

Il danno causato dovrà essere risarcito e sarà necessario ripristinare l’ambiente danneggiato. Per le imprese, l’importo dipenderà dalla natura del reato e sarà pari ad una percentuale del fatturato annuo (3 o 5%) o, in alternativa, pari a 24 o 40 milioni di euro. Gli Stati membri potranno decidere se perseguire i reati commessi al di fuori del loro territorio. 

Una figura emersa durante i negoziati, ma già ben nota a livello internazionale, è quella del whisteblower. Si tratta dell’informatore, il “segnalatore” che denuncia reati ambientali e che sarà sostenuto e riceverà assistenza nei contesti dei procedimenti penali. Può essere interno ad un’azienda della quale scopre gli illeciti o esterno e indirettamente collegato ad essa.  

Ulteriori misure a supporto consisteranno nella formazione tramite corsi specializzati per forze dell’ordine, giudici e pubblici ministeri. Redigere strategie nazionali e organizzare campagne di sensibilizzazione contro la criminalità ambientale saranno le prossime mosse. 

I dati sui reati ambientali raccolti dai governi dell’UE dovrebbero inoltre consentire di affrontare meglio la questione e aiutare la Commissione ad aggiornarne regolarmente l’elenco. 

“È giunto il momento che la lotta alla criminalità transfrontaliera assuma una dimensione europea, con sanzioni armonizzate e dissuasive che impediscano nuovi reati ambientali – ha dichiarato il relatore per il Parlamento europeo Antonius Manders (PPE, NL) -. Con questo accordo, chi inquina paga. Ma non solo: è anche un enorme passo avanti nella giusta direzione. Qualsiasi dirigente d’impresa responsabile di provocare inquinamento, infatti, potrà essere chiamato a rispondere delle sue azioni, al pari dell’impresa. Con l’introduzione del dovere di diligenza, poi, non ci sarà modo di nascondersi dietro a permessi o espedienti legislativi”. 

La criminalità ambientale si classifica al quarto posto tra le attività criminali nel mondo. Rappresenta una fonte di guadagno per le organizzazioni criminali ed viene dopo il traffico di droga, quello di armi, e la tratta di essere umani. Con la direttiva approvata in Pe, i deputati hanno dato una risposta chiara alle proposte dei cittadini nelle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa.