(Adnkronos) – Vivere nell’Unione europea non è uguale per tutti i Paesi membri. A dimostrarlo è Housing in Europe, il report realizzato a partire dai dati Eurostat dalla Commissione europea, secondo cui, in merito al ‘Costo delle abitazioni’, alle abitudini di vita e al tipo di costruzione, cambia lo stile di vivere la propria casa da parte dei cittadini. La pubblicazione, infatti, fornisce dati in merito alle dimensioni e le qualità delle abitazioni e l’impatto ambientale che esse apportano, dal 2010 ad oggi.  

Ad esempio, nell’Ue nel 2022 il 69% della popolazione viveva in un nucleo familiare di proprietà, mentre il restante 31% affittava un alloggio. Ma ci sono Paesi in cui le abitudini di acquisto o affitto possono essere molto differenti. Romania, Slovacchia, Croazia e Ungheria hanno un tasso di persone che comprano casa molto elevato (superiore al 90%). In un Paese come la Germania, invece, il dato cambia sensibilmente. L’affitto è diffuso in misura nettamente maggiore della proprietà, con il 53% della popolazione che vive in una casa che non è la propria. A seguire, Austria con il 49% e la Danimarca con il 40%.  

Questa fotografia evidenzia come cambiano le scelte dei cittadini negli Stati membri anche in base ai costi della vita se comparati a quelli delle case e abitazioni in cui si decide di vivere, da soli o con la propria famiglia.  

In Italia, riuscire ad acquistare la casa di proprietà è uno degli obiettivi di vita di moltissimi giovani che sperano di poter trovare un punto di equilibrio, nel minor tempo possibile, tra abitazione, lavoro, spese e famiglia. Nonostante le percentuali italiane dimostrino che si preferisce vivere in case di proprietà piuttosto che in affitto, non è sempre detto che la realtà sia conforme alle speranze e alle aspettative delle persone. Ecco per cui, per raggiungere quell’over 90% dei Paesi sopracitati in cui la proprietà batte altre forme di locazione, dovrebbe verificarsi un approccio differenziato al welfare statale che consentirebbe in modo più agevolato la compravendita. 

Dai dati nostrani in materia è emerso che gli italiani prediligono appartamenti rispetto a case singole. Ma è sui costi ambientali che i dati focalizzano un dato rilevante: in modo nettamente superiore rispetto alla maggior parte degli altri Paesi Ue, ad eccezione di quei pochi Paesi in cui le abitazioni inquinano ancora troppo, l’Italia continua a produrre gas serra senza particolari tendenze di decrescita. 

Una parte delle emissioni di gas serra proviene dalle famiglie che bruciano combustibili fossili per riscaldare le proprie case, preparare acqua calda, cucinare e usare aria condizionata. Ciò ha rappresentato una produzione di gas serra di 733 chili pro capite nell’UE nel 2021, in calo rispetto a 914 chili nel 2010. Nel 2021, i valori maggiori sono stati osservati in Lussemburgo (1 636 chili pro capite), Irlanda (1 347) e Belgio (1 400). Il valore più basso è stato invece riscontrato in Svezia (26), seguita da Portogallo (150) e Malta (168). 

Con la direttiva “Case green” l’Unione Europea intende ridurre del 55% entro il 2030 le emissioni nocive rispetto ai livelli del 1990 e raggiungere le emissioni zero entro il 2050, attraverso la riqualificazione del parco immobiliare europeo e il miglioramento dell’efficienza energetica. L’Italia, da questo punto di vista, risulta essere ancora indietro se si considera che molte abitazioni non hanno un “censimento energetico” e quindi, risultano manchevoli di un ‘Attestato di prestazione energetica’. Secondo i dati di Enea, circa l’86% degli edifici residenziali si trova nelle classi energetiche D e inferiori e ben il 60% circa si troverebbe addirittura nelle due classi peggiori, F e G. 

In media nell’UE nel 2022, il 19,9% del reddito disponibile era destinato ai costi abitativi.  

I prezzi delle case sono aumentati del 47% nell’Ue tra il 2010 e il 2022. Dal 2013, nello specifico, si è osservata una costante tendenza al rialzo, con incrementi consistenti dopo il 2015. Le uniche due diminuzioni hanno riguardato proprio l’Italia con -9% e Cipro, -5%. Mentre in Paesi come Estonia, Ungheria e Lussemburgo le case sono aumentate, rispettivamente del +192%, +172% e +135%.  

Gli affitti, però, non sono da meno e risultano aumentati del 18%. Si è registrato un aumento in tutti gli Stati membri tranne la Grecia (-25%). Gli aumenti maggiori sono stati registrati in Estonia (+210%), Lituania (+144%) e Irlanda (+84%). A Cipro l’aumento è stato solo del +0,2%. 

I costi degli alloggi rispetto alla media dell’Ue differiscono notevolmente tra gli Stati membri. I costi abitativi più elevati nel 2022 rispetto alla media sono stati riscontrati in Irlanda (112% sopra la media UE), Lussemburgo (87% sopra) e Danimarca (82% sopra). I valori più bassi, invece, sono stati osservati in Bulgaria (63% sotto la media UE) e Polonia (60% sotto). 

Osservando l’evoluzione tra il 2010 e il 2022, i livelli dei prezzi immobiliari rispetto alla media dell’UE sono aumentati in 17 Stati membri e diminuiti in 10. Gli aumenti maggiori sono stati osservati in Irlanda (dal 17% al 112% al di sopra della media dell’UE) e in Slovacchia. (dal 44% al 3% al di sotto della media UE) e le diminuzioni maggiori si sono verificate in Grecia (dall’8% al 30% al di sotto della media UE) e Cipro (dall’8% al 23% in meno). 

Anche i prezzi alla produzione delle costruzioni per nuove abitazioni nell’UE sono aumentati nel periodo dal 2010 al 2022 – soprattutto dal 2016, e in modo particolarmente significativo dal 2021 al 2022. L’aumento durante l’intero periodo è stato del 40%. Tra gli Stati membri, gli aumenti maggiori sono stati osservati in Ungheria (+124%), Bulgaria (+103%) e Romania (+97%). La Grecia è stato l’unico Stato membro a registrare un calo (-1%). 

Con l’aumento dei prezzi delle case e degli affitti, il costo degli alloggi può diventare un peso. Ciò può essere misurato mediante il tasso di sovraccarico dei costi abitativi, che mostra la percentuale di popolazione che vive in una famiglia in cui i costi abitativi totali rappresentano più del 40% del reddito disponibile. Nell’UE nel 2022, il 10,6% della popolazione delle città viveva in una famiglia di questo tipo, mentre il tasso corrispondente per le zone rurali era del 6,6%. I tassi di sovraccarico dei costi abitativi più elevati nelle città sono stati osservati in Grecia (27,3%) e Danimarca (22,5%), mentre i più bassi in Slovacchia (2,3%) e Croazia (2,6%). Nelle zone rurali i valori più alti si sono registrati in Grecia (24,2%) e Bulgaria (18,1%) e i più bassi a Malta (0,2%) e Cipro (0,5%). 

Il sovraccarico dei costi abitativi è stato più elevato nelle città che nelle zone rurali in 20 Stati membri e inferiore in 7. Gli estremi di questa differenza erano la Danimarca (13,5 punti percentuali, con il 22,5% nelle città e il 9,0% nelle zone rurali) e la Bulgaria (-5,4 punti percentuali, con il 12,7% e il 18,1%). 

Ma che vivere nelle città fosse più dispendioso che nelle zone rurali è ormai noto. Nonostante ciò, il nostro Paese fa i conti con il fenomeno dello spopolamento di zone considerabili rurali se paragonate alle principali metropoli italiane e che vivono di una popolazione per lo più formata da persone anziane che, a differenza dei giovani, ha scelto di “resistere” e restare.