(Adnkronos) – Nei giorni in cui la Cop28 si conclude con un accordo ritenuto dai più insufficiente a tutelare il pianeta, emerge che gli sforzi fatti per limitare il riscaldamento entro i +1,5°C rispetto al periodo preindustriale sono insufficienti su quasi tutti i fronti. 

A riferirlo è lo State of Climate Action 2023, un rapporto che fornisce una serie di linee guida per abbattere il riscaldamento globale e ridurre al minimo i danni per l’ambiente e la biodiversità, frutto di un’analisi congiunta da parte di diverse associazioni a cui partecipano anche le Nazioni Unite e il World Resources Institute.  

Dall’analisi emerge che 41 dei 42 indicatori analizzati non sono in linea con gli obiettivi previsti per il 2030. In particolare, il report evidenzia gravi ritardi in settori strategici come il taglio dei combustibili fossili e la riduzione drastica della deforestazione. 

Insomma, dopo 7 conferenze dalla Cop21 e dagli Accordi di Parigi, l’obiettivo di contenere il surriscaldamento entro i +1,5°C entro l’inizio del prossimo decennio è sempre più una chimera. 

Ancora prima dello State of Climate Action 2023, la conferma empirica degli scarsi risultati ottenuti era arrivata con le temperature più alte registrate a livello globale, prima negli oceani e poi nell’atmosfera, dove il 17 novembre si è superato anche la soglia dei +2°C nell’indifferenza generale. 

Le note non sono tutte negative, spiega il rapporto, su vari obbiettivi è stata intrapresa la direzione giusta, ma a un ritmo insufficiente per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 e al 2050. 

Dall’analisi cronologica emerge anche il peso che il Covid e la guerra in Ucraina hanno avuto sulle decisioni politiche.  

Dopo aver intrapreso un percorso di riduzione dei finanziamenti dei combustibili fossili, l’Europa si è risvegliata con una guerra alle porte e lo sguardo spalancato sulla quasi totale dipendenza energetica dalla Russia di Putin che minacciava il proprio sistema produttivo. 

Questo, tuttavia, non ha generato solo l’aumento del finanziamento ai combustibili fossili, che nel 2021 è cresciuto notevolmente con i sussidi governativi che sono quasi raddoppiati rispetto al 2020, raggiungendo i livelli più alti degli ultimi dieci anni. 

“Sebbene alcuni paesi abbiano riaperto impianti a combustibili fossili in seguito all’invasione russa dell’Ucraina – si legge nel report – altri hanno utilizzato questo shock esogeno come giustificazione per aumentare gli investimenti nelle tecnologie a zero emissioni, perseguendo futuri energetici indipendenti. Ad esempio, l’Unione Europea ha installato quantità record di energia eolica e solare nel 2022, accelerando miglioramenti di efficienza e installazioni di pompe di calore, contribuendo tutti a rapidi cali nella domanda di combustibili fossili”.  

Non solo l’Ue, notoriamente l’organizzazione sovranazionale più attiva nella transizione energetica, ma anche la Cina, afferma il report, si sta muovendo bene ed è pronta a raggiungere i suoi obiettivi di capacità di energia rinnovabile per il 2030, addirittura fino a cinque anni prima del previsto dopo aver speso circa 550 miliardi di dollari in tecnologie a zero e basso contenuto di carbonio nel 2022. Un investimento quasi pari a quello di tutti gli altri paesi messi insieme nel corso dello stesso anno. 

Sull’altra sponda del globo, gli Stati Uniti hanno recentemente approvato il decreto che fornirà oltre 370 miliardi di dollari in 10 anni per progetti che riducono le emissioni di gas serra e migliorano la rimozione del carbonio, “il più grande investimento nella storia del paese in materia di clima ed energia”.  

A livello globale, nel 2022 gli investimenti mondiali nella fornitura di energia a basse emissioni hanno superato per la prima volta quelli in combustibili fossili.  

Allora, viene da chiedersi qual è il problema. La risposta è semplice: non è ciò che si sta facendo ora, ma ciò che non si è fatto prima che oggi costringe il mondo non solo ad andare nella giusta direzione ma anche a farlo a ritmi spediti per evitare che la trasformazione diventi irreversibile. E sui ritmi della transizione, evidenzia lo State of Climate Action 2023, ci sono molti problemi. 

In sostanza, il cambiamento sta procedendo nella giusta direzione a un ritmo promettente ma ancora insufficiente per 6 indicatori, e, per altri 24 indicatori, rimane ben al di sotto della velocità richiesta per raggiungere gli obiettivi a breve termine. Peggio ancora, il cambiamento per 6 indicatori sta procedendo completamente nella direzione sbagliata, mentre per 5 indicatori i dati sono ancora insufficienti per valutare con certezza i progressi fatti. 

 

[Fonte: State of Climate Action 2023] 

 

L’unico target che, oltre ad andare nella giusta direzione, procede anche alla giusta velocità per gli obiettivi 2030 è quello della mobilità elettrica. Negli ultimi cinque anni, la quota di veicoli elettrici nelle vendite di auto è cresciuta esponenzialmente, passando dall’1,6% delle vendite nel 2018 al 10% nel 2022.  

Un aspetto certamente non secondario considerando che, dopo l’industria, il settore dei trasporti, che include strade, ferrovie, mare e viaggi aerei, rimane la seconda fonte di crescita più rapida delle emissioni di gas serra nel mondo. 

Tuttavia, lo State of Climate Action 2023 evidenzia come i progressi nell’accelerare questa trasformazione siano del tutto disomogenei. Gli sforzi per elettrificare modalità comuni di trasporto su strada, come veicoli leggeri e due e tre ruote, stanno procedendo nella direzione e alla velocità giusta, ma il passaggio a modalità di transito più sostenibili e la decarbonizzazione del trasporto a lungo raggio, come il trasporto su strada, la navigazione e l’aviazione, si sono rivelati più difficili, “con tutti gli indicatori che sono significativamente fuori pista o seguono una direzione completamente sbagliata”. 

“La finestra per evitare impatti climatici sempre più devastanti, spesso irreversibili, si sta chiudendo rapidamente, e ora sono necessarie azioni immediate e ambiziose per limitare il riscaldamento a 1,5°C”, aprono così le conclusioni del rapporto dove si spiega che “per ridurre quasi della metà le emissioni di gas serra entro il 2030 e raggiungere emissioni nette di CO2 pari a zero entro la metà del secolo, devono accelerare cambiamenti trasformativi nei settori più emissivi del mondo, come energia, edifici, industria, trasporti, foreste e terra, cibo e agricoltura. La rapida scalata delle tecnologie di rimozione del carbonio e del finanziamento climatico sarà cruciale anche per affrontare la crisi climatica”. 

Il rapporto suggerisce di ripartire da alcuni esempi virtuosi come il Decreto di Riduzione dell’Inflazione degli Stati Uniti, il prossimo piano nazionale di mercato del carbonio dell’India, la politica di Acquisto Verde del Canada, il Regolamento sulla Deforestazione dell’Unione Europea e il Quadro Globale per la Biodiversità di Kunming-Montreal.  

A conti fatti, la speranza nella Cop28 da parte degli autori dello State of Climate Action 2023 è stata mal riposta, e il report identifica un investimento in queste aree per rispondere efficacemente alla crisi climatica: 

• L’accelerazione della transizione energetica, grazie all’implementazione di fonti di energia rinnovabile, come il solare e l’eolico. Questo include non solo l’espansione della capacità di generazione, ma anche l’aggiornamento delle infrastrutture di rete per supportare una maggiore integrazione delle energie rinnovabili; 

• L’eliminazione dei combustibili fossili e del carbone, con relativa dismissione delle centrali, a un ritmo sette volte più veloce rispetto ai tassi attuali; 

• L’introduzione di regimi dietetici più sostenibili otto volte più velocemente rispetto al tasso attuale, limitando il consumo pro capite di specifiche carni a circa due porzioni a settimana nelle aree ad elevato consumo entro il 2030. In tal senso, una grande opportunità è rappresentata dalla carne sintetica, fortemente osteggiata dal governo italiano; 

• La riduzione della deforestazione; 

• Gli investimenti in trasporto green e sostenibile
 

“Nell’anno a venire – si legge nelle conclusioni del rapporto – i leader di tutti i settori dovranno capitalizzare sui progressi finora visti per lavorare al limite del riscaldamento a 1,5°C e garantire che giustizia ed equità siano al centro di tutti gli sforzi verso questo obiettivo. Sebbene il cammino avanti richiederà uno sforzo enorme, le azioni che intraprendiamo per raggiungerlo possono aiutarci a fornire benefici sviluppativi e sociali per tutti.