(Adnkronos) – La prima Fondazione riconosciuta di Ricerca in Italia per la sostenibilità
digitale compie tre anni. Il prossimo 18 aprile si terrà al Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale dell’Università degli studi di Roma Sapienza un incontro per parlare dei progressi svolti in questo triennio e per focalizzarsi sulle sfide e gli obiettivi futuri. Abbiamo perciò chiesto al presidente Stefano
Epifani a che punto fossimo con la sostenibilità digitale nel nostro Paese. 

Presidente, puoi spiegarci cos’è la “sostenibilità digitale” e a che punto siamo nel nostro Paese?
 

“Con il termine ‘sostenibilità digitale’ indichiamo, da una parte il modo con cui possiamo usare tecnologia come strumento utile per la sostenibilità e dall’altra parte, come impiegare i criteri di sostenibilità per orientare lo sviluppo tecnologico. 

I dati che rilasceremo il 18 aprile in occasione dei tre anni dalla nascita della Fondazione ci dicono che siamo a un punto peggiore di quanto normalmente si racconti. Un italiano su due di quanti vivono nei piccoli centri non ha davvero capito il concetto di “sostenibilità”: dato che scende a uno su tre nei grandi centri, e meno di uno su tre è in grado di rapportare la sua visione ideologica di sostenibilità a delle pratiche del vivere quotidiano. C’è grande confusione”.  

Con un Osservatorio permanente misurate l’Indice di Sostenibilità Digitale, cioè la consapevolezza degli italiani sul tema. In quali aree del nostro Paese si evidenziano maggiori criticità?
 

“Con l’Indice di Sostenibilità Digitale misuriamo:  

Per la prima volta possiamo dire che l’Italia, quando parliamo di sostenibilità digitale, non è divisa tra Nord e Sud come si crede, ma tra grandi e piccole
città. E questo problema riguarda da una parte la presenza d’infrastrutture e dall’altra il livello di consapevolezza sul digitale: maggiore nei grandi contesti urbanizzati rispetto ai piccoli comuni, ma insufficiente ovunque. Quello che manca è poi la consapevolezza sia rispetto al ruolo del digitale come strumento di sostenibilità che della sostenibilità come strumento utile per indirizzare la digitalizzazione”. 

 

E le aziende sono più o meno consapevoli?
 

“L’Osservatorio guarda ai cittadini, tutti. Ma per le aziende, nello specifico, la Fondazione ha sviluppato, sulle tematiche Esg, una “patente
di
sostenibilità”, simile a quella recentemente pubblicata relativa alla parità di genere. Si tratta della prassi di Riferimento UNI/PdR 147:2023 “Sostenibilità digitale – Requisiti e indicatori per i processi d’innovazione”, che fa sì che i progetti di trasformazione digitale possano rispondere agli indicatori di sostenibilità per essere coerenti con gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030. Riconosciuta a livello italiano e presto a livello europeo, servirà per misurare il rapporto efficienza-efficacia nell’implementazione delle tecnologie per la sostenibilità nelle attività di corporate sustainability reporting”. 

Negli scorsi giorni, alla Camera dei deputati avete siglato un accordo per un percorso di formazione. L’obiettivo è supportare i parlamentari sulle tematiche della Sostenibilità digitale, cosa che già fate anche con i giornalisti tra l’altro. Si presume che, se ha motivo di esistere, è perché ci sono ancora delle lacune anche da parte dei nostri rappresentanti…
 

“C’è un gran bisogno di consapevolezza anche da parte dei parlamentari perché non è pratica diffusa in modo omogeneo all’interno del parlamento. C’è stato l’accordo per definire l’avvio di un percorso sviluppato da Fondazione assieme ai componenti dell’intergruppo parlamentare ‘Innovazione tecnologica’, con i quali svilupperemo momenti di formazione e informazione rivolte ai parlamentari e alle istituzioni per implementare le competenze necessarie per legiferare un tema oggettivamente complesso e in rapidissima evoluzione: si pensi al ruolo dell’AI”.  

La Fondazione compie tre anni: come definisci i risultati ottenuti fino a oggi e quali sono le sfide future che vi aspettate di dover affrontare? Il “bilancio” della Fondazione sotto questo punto di vista è positivo?
 

“In questi tre anni, il “bilancio” ha superato le aspettative. Abbiamo sviluppato la prima prassi di riferimento a livello europeo; costruito il network più esteso e significativo di stakeholder specializzati su questi temi; realizzato un network di università ampio e diffuso. Facciamo formazione da tre anni ai giornalisti e la faremo ai parlamentari. Il tutto lavorando solo sulla volontà dei nostri soci sostenitori di svolgere attività utili al paese in un’ottica di give back, restituendo know-how e mettendosi a disposizione. La forza della Fondazione è quella di essere un ente terzo, super partes. La soddisfazione è che abbiamo intercettato la volontà da parte di molti d’impegnarsi per fare del bene al nostro Paese, utilizzando la leva della sostenibilità, dalla Rai a grandi aziende come Eni o Enel, con cui collaboriamo”.  

Quali strumenti consiglieresti ai cittadini per tenersi informati su queste tematiche?
 

“Esistono tante iniziative di realtà diverse. Noi stiamo realizzando un corso di formazione per la sostenibilità digitale anche nei percorsi di laurea delle università. Quest’anno grazie a uno dei nostri partner, EHT, abbiamo lanciato la prima edizione del Digital Sustainability Award, con il quale premieremo in denaro e con la possibilità di affiancare un Ceo di una grande azienda, lo studente o la studentessa che riterremo meritevole sulla base di una tesi di laurea dedicata a queste tematiche. Ma la grande rivoluzione dovrebbe partire nelle scuole medie e superiori. Si dovrebbe insegnare a considerare il digitale come qualcosa con il quale convivere con l’obiettivo di governarlo, e non da utenti passivi: solo così sarà un alleato e non un nemico. Da parte nostra, ce la metteremo tutta per contribuire in tal senso”.